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Imprenditori avanti senza carità di Stato

Gli azionisti si riprendano le aziende, non le lascino nelle mani del management

2009-02-028

Ingegneria Impianti Industriali

Elettrici Antinvendio

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Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

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2009-02-28

Il dubbio

Imprenditori avanti senza carità di Stato

Gli azionisti si riprendano le aziende, non le lascino nelle mani del management

di Piero Ostellino

Per l'Italia, il solo modo di uscire dalla crisi è cogliere le opportunità che essa offre. Sulla già incombente crisi strutturale—per carenze e ritardi di innovazione di processo e di prodotto — si è innestata quella finanziaria. Il nostro sistema creditizio — che pure regge meglio di altri — è in sofferenza per gli effetti globali della crisi. Ma le banche non concedono crediti non solo perché carenti di liquidità, ma anche a causa delle debolezze del mondo della produzione. Non si fidano. Temono un calo dei consumi e l'insolvenza delle aziende debitrici.

Che fare, allora? "Aggredire la crisi", invece di affidarsi alla carità di Stato. Chi la deve governare, e la può risolvere, non è la politica, cui spetta solo di fissare le regole della libera concorrenza. Sono gli imprenditori. Gli azionisti ricapitalizzino le proprie aziende e le riprendano in mano. Non le lascino in quelle di un management che ha la vista corta. Il nostro sistema produttivo è costituito da migliaia di piccole aziende, da un numero relativamente basso di aziende medio-piccole, da poche medio-grandi e pochissime grandi. Affronteranno la crisi e ne usciranno, chi più chi meno bene, secondo i rispettivi criteri di conduzione.

Le aziende piccole e medio-piccole sono gestite dai loro proprietari e/o da pochi azionisti; hanno una bassa gestione finanziaria (carenza di risorse) e un'alta gestione imprenditoriale (inventiva, spirito di sacrificio, vocazione al mercato). Soffriranno la stretta creditizia —che ne metterà in pericolo l'esistenza—ma aguzzeranno l'ingegno perché ci sono già abituate. Le aziende medio-grandi e le grandi—che, in prevalenza, hanno separato la proprietà dalla gestione — sono condotte da manager; hanno un'alta gestione finanziaria (maggiore disponibilità di risorse) e una bassa gestione imprenditoriale. Il management ha la propensione a lavorare "a brevissimo termine", dovendo rispondere agli azionisti (che investono poco e si aspettano ritorni immediati); si preoccupa, nella prospettiva di essere licenziato, di uscirne almeno con una lauta liquidazione, assecondando le aspettative degli azionisti.

La presidente di Confindustria ha proposto di lasciare, per un anno, alle imprese—per consentire loro di autofinanziarsi — la disponibilità del Trattamento di fine rapporto dei dipendenti. Forse, sarebbe stato meglio invitare gli imprenditori a rimettere nelle aziende i grandi utili fatti negli ultimi quindici anni. Chiedere, ora, a manager—ridotti a burocrati dell'esistente — di passare a una gestione imprenditoriale, di lavorare per strategie "a medio e lungo termine", di innovare in una situazione di crisi, sarebbe chiedere loro qualcosa che non era già nelle loro corde anche quando le cose andavano bene. Lasciati a se stessi, cercheranno di contenere i costi—tagliando indiscriminatamente (?) teste e spese — e, quando la prima tosatura si sarà rivelata insufficiente, faranno (?) altri tagli. Nel migliore dei casi, il rischio è l'impoverimento ulteriore delle aziende e la riduzione delle loro capacità di ripresa; nel peggiore, il collasso del sistema.

28 febbraio 2009

REPUBBLICA

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2009-02-28

 

 

 

 

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